Quando si dà voce ai giovani?
Quando si dà voce ai paesi?
Quando si dà voce ai giovani che vivono nei paesi?
Queste le domande costituenti la chiave di accensione del motore del Festival dei giovani dell'Appennino, nato da un piccolo flusso militante di giovani delle aree interne d'Abruzzo.
L'edizione I - denominata "edizione 0" - ne ha rappresentato la genesi, il trampolino di lancio del primo evento culturale dedicato in toto alle aree marginali rappresentate dai giovani, esempi coraggiosi del restare o del ritornare, nonché figuranti nuovi modi di unirsi e cercare di invertire l'emorragia demografica nei paesi.
L'embrionale manifestazione si è svolta nell'intera giornata di sabato 3 agosto 2021 in Piazza dell'Orologio a Collarmele (AQ) - luogo di aggregazione simbolo del Festival - riunendo delegazioni giovanili di 10 comuni che vivono appieno le recondite realtà, così da condividere le proprie criticità territoriali e predisporre concrete soluzioni e interventi per lo sviluppo dei centri minori.
L'evento si è aperto alle 9.30 con la colazione condivisa in un bar del paese, proseguendo in una passeggiata collettiva fino all'iconica piazza dove ha avuto inizio il Festival, dalle ore 10.00. Inframezzati da esibizioni musicali, arti marziali, danzatori e sbandieratori, ad abbracciare la causa sono stati i giovani dei paesi di Faraone Antico (0 abitanti), Beffi (42 abitanti), Rendinara (145 abitanti), Arsita (795 abitanti), Collarmele (897 abitanti), Roccavivi (1083 abitanti), Aielli (1453 abitanti), Cerchio (1576 abitanti) e Caramanico (1933 abitanti), oltre che svariati partners locali. Presenti altresì molteplici stand enogastronomici e letterari a cingere il tessuto urbano e fisico della piazza.
Insieme a loro, sentiti sono stati gli interventi del CSV Abruzzo, dell'Abruzzese fuori sede e di Franco Arminio, consulente scientifico del Festival che lo ha definito innovativo al punto da possedere il potenziale di divenire un riferimento nazionale - se ben coltivato - al punto da coinvolgere la gioventù dell'intero arco appenninico, dalla Liguria all'Aspromonte. A chiusura della giornata, il paesologo ha avvalorato l'obiettivo dell'evento quando, inginocchiandosi nell'anfiteatro dinanzi a centinaia di persone, ha impreziosito il suo monologo recitando alcuni tra i versi più celebri della sua produzione letteraria:
"abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l'anno della crescita, ci vorrebbe l'anno dell'attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza".
Verso la dignità dei piccoli centri, per (ri)scrivere una geografia dell’Italia interna ma centrale, esteticamente rude ma emozionale, apparentemente assopita ma vitale.
Enrica Zazzara