L'accesa disamina di Pier Paolo Pasolini in La forma della città (1974) lanciò una critica lucida e terribile alla modernità, condotta attraverso il filmato panoramico della città di Orte dapprima inquadrata nel suo ritratto fortificato e, successivamente, immortalata inglobando le storpiature impresse da un'edilizia che, partendo dal secondo dopo guerra, ha provocato uno snaturamento dei tessuti abitativi storici pregiudicando i loro antichi caratteri.
Che quegli elementi di critica influiscano attivamente l'odierna percezione delle aree interne e dell'Italia dei centri storici, con particolare riguardo a quelli dell'inarcatura appenninica, è cosa ancora difficile da dirsi, sebbene il ritorno alla montagna e l'attenzione al patrimonio culturale materiale e immateriale - largamente promossi dalle missioni del PNRR - stiano assistendo a un'importante accelerazione, mossa dalla crisi demografica che grava sui territori dell'entroterra. Sembra tuttavia, nella contemporanea riscoperta dell'Italia dei paesi, prevalere una forte componente economico-gestionale ancora lungi dall'essere pienamente integrata a un'educazione al paesaggio, connubio che varrebbe la pena di favorire attraverso una più stretta congiuntura tra gli studi di matrice storico-geografica e artistica e quelli più spiccatamente manageriali.
L'obiezione sollevata da Pasolini è quella rivolta alla difesa esclusiva del patrimonio firmato, all'affezione connessa ai soli grandi monumenti e alle opere d'arte "d'autore, stupende, della tradizione italiana", cui l'intellettuale contrappose le "stradine da niente" che invece occorre tutelare con il medesimo accanimento:
"Voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città, di un’infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi e più assoluti nelle opere d’arte e d’autore"
Ogni manifesto che contempli il recupero dei cosiddetti patrimoni minori, disseminati nell'Italia di dentro, affonda - persino inconsciamente - le sue radici anche nelle primordiali denunce operate da Pasolini, al tempo tra i pochi ad essere cosciente della necessità di un'inversione percettiva, la stessa che ha portato negli ultimi anni alla rivalsa di luoghi incantati come Matera, fino a mezzo secolo fa luogo di pena ove si nasceva per partirne in un dato momento, e oggi già Capitale Europea della Cultura (2019) e contenitore di imprenditoria culturale.
Nella critica pasoliniana, si delinea la speranza di un futuro nel quale chiunque possa essere d'accordo nel voler difendere i piccoli monumenti alla pari dei più celebri, il passato delle grandi città d'arte e il trascorso anonimo e popolare delle case rurali, delle chiese isolate, dei palazzi costruiti da architetti senza nome lungo le strette strade di paesi inerpicati sui pendii. E prima ancora che quella critica alla modernità puntasse l'obiettivo sulle case antiche di Orte, la lotta alla bellezza custodita negli entroterra in Pasolini già si era configurata nella sua trasversalità geografica. Le spettacolari riprese della città yemenita di Sana'a, fatta con il fango e in piedi come un miraggio eterno di fragili verticalità che si stagliano su un deserto tormentato, permisero al regista di rivolgersi direttamente all'UNESCO perché intervenisse "finché è in tempo, a convincere un’ancora ingenua classe dirigente, che la sola ricchezza dello Yemen è la sua bellezza, e conservare tale bellezza significa oltre tutto possedere una risorsa economica che non costa nulla. E che lo Yemen è in tempo a non commettere gli errori commessi dagli altri paesi". Nel 1986 la città fu dichiarata patrimonio dell'umanità grazie a quell'opera d'arte che ne denunciò la caducità, e si intervenne con rapidità per garantire la tutela delle sue simboliche mura, oggi messe in pericolo sia dal trascorrere inesorabile del tempo che da una guerra per la quale il mondo occidentale ha scelto di non commuoversi.
Quel che resta nell'Italia degli abbandoni è, oggi più di allora, oggetto di una corsa contro il tempo per scongiurare lo svuotamento dei paesi e la spersonalizzazione dei luoghi. Perché la coesione sociale alla base di un ripensamento dell'Appennino possa saldarsi al punto da divenire laboratorio di idee costante e vocato alla causa, il presente impone un recupero diffuso delle voci che - per prime - hanno invertito la rotta verso una nuova scoperta geografica. La lezione di Pasolini, a cent'anni dalla sua nascita, insegna a percorrere le strade sconnesse e antiche, quelle che lambiscono l'Italia che c'è dentro l'Italia.
Filiberto Ciaglia