Lettor, di vero cuor la man ti stendo,
ti prego di non darmi d’ignorante.
Il nome mio lo puoi tenere a mente,
ché qui tel segno al terminar del canto.
Son Cesidio Gentil, di voi servente,
di Pescasseroli, e me ne pregio tanto,
che in fra le greggi e con la verga in mano
ho scritto le Memorie marsicane.
Con queste parole Cesidio Gentile si accomiatava dal lettore nell’epilogo della sua Storia marsicana, «poema di 1531 ottave» dedicato alla Madonna Incoronata di Pescasseroli, pubblicata nel 1904 col titolo Leggenda Marsicana. Versi (Sarzana, Tipografia Lunense).
Il personaggio di Cesidio Gentile detto “Jurico”, pastore-poeta pescasserolese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, recentemente è tornato agli onori delle cronache poiché ha contribuito a ispirare il recentissimo film di Riccardo Milani “Un mondo a parte” (Wildside/Medusa Film, 2024), girato a Pescasseroli, Opi e in altri comuni del territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Cesidio Gentile, detto “Jurico” dall’arte praticata dal nonno, cerusico (=chirurgo), ossia una sorta operatore nel campo della medicina popolare, conoscitore delle proprietà curative delle erbe per gli uomini e per gli animali (di solito tale figura era coincidente in passato con il mestiere del barbiere), ebbe i natali a Pescasseroli nel 1847. Gentile fu autodidatta e nella sua produzione, fortemente autobiografica, ha descritto la dura vita del pastore, le speranze nella Fede, i rapporti interpersonali e molti aspetti della vita quotidiana del suo paese. Influenzato notevolmente dalla letteratura cavalleresca, Gentile ha scritto oltre un centinaio di titoli per decine di migliaia di versi, i quali sono stati raccolti, alcuni anni fa, in due volumi dattiloscritti e, purtroppo, non stampati, da un privato cittadino di Foggia, Domenico Padalino. È stato lo stesso Jurico, in una nota autobiografica, a tracciare i momenti salienti della sua vita e l’entità della sua produzione poetica, «oltre a centomila» versi, andati quasi interamente perduti.
«Nacqui a Pescasseroli addì 28 giugno 1847. Crebbi colmo di miseria e di ignoranza, a motivo che a quei tempi scole elementari non esistevano, e alla scola privata mio padre non ebbe il potere a mandarmi. Era un misero pastore; si guadambiava un anno docati trenta di moneta napolitana, pari a lire centoventisette e cinquanta, e con quello misero stipendio doveva alimentare tre figli e una moglie. Dunque, si viveva a forza di economia. Di otto anni mi portai al bosco Pirinella a pasturare le pecore unito a lui. Nella capanna dei pastori mi imparai a conoscere le lettere dell’alfabeto e per istinto di natura ebbi un bel gusto di ascoltare le storielle popolari scritte in ottave: i racconti cavallereschi della Tavola rotonda mi davano molto a pensare. E così nella mia idea, a pena cominciai a scrivere, scriveva versi ispirati dalla mia fantasia. Al 1860 scrissi varie canzoni in onore di Giuseppe Garibaldi e all’Italia redenta. Nel corso della mia gioventù scrissi il Canzoniere del bosco; satirizzai tutte le donne della mia patria; scrissi il dialogo satirico molto busso scritto sullo stile del Giusti, quartine. Pendente al 1879, scrissi un poema della Storia dei Marsi, 1531 ottave; lo diedi al cavaliere Alesio, che me lo doveva correggere, e in quella casa è rimasto sepolto. Al 1890 scrissi la Strenna del bosco, poesie varie a vario stile; al 1897 scrissi la Corneide e l’Apparizione di un nuovo santuario; al 1898 scrissi la Siringa pastorale ossia il Corno di Zapponeta, dialogo di tre pastori, e il lamento del pastore pugliese. Scrissi il Sogno sul monte Palombo, l’Apparizione del dio Epigano. Al 1902 il Sogno sul monte Rottella, opera buffa; il Modo di vivere a Pescasseroli; l’Ombra del cavaliere al suo nipote, che tratta lo stesso argomento; sull’Agire a Pescasseroli, la Forza del Leone e la Forza del Tricorno, la Superbia del mulo, il Toro della dea Cimbolo e il Montonello di Plistia; la raccolta dei brindisi; un Sermone sul monte Argatone con un pastore di Scanno; lo Uccellino e l’agnello, poesie morali, l’Istoria del tempo presente, l’Istoria dei dodici mesi, scritta a poesie, ottave, quartine e sciolti, l’Istoria dell’Incoronata di Foggia, nuova edizione; l’ultima opera il Dialogo delle due comari. Al 1908 scrissi l’Ultimo crollo delle mie sventure, la Tempesta, l’Avversa sorte e il Sogno a Ferroglio. Al 1903 rinnovai il gran poema della Istoria dei Marsi, intitolato Leggende marsicane, scrissi le Poesie boccacesche, le diedi a correggete, e tutto ho perduto. Ora, vecchio sessagenario, rammento tutto il mio passato, ricordo quei bei versi che cantò. In vita mia ho scritto oltre centomila versi, ma tutti mi furono dispersi. Ora, con l’aiuto della musa Urania spero di scrivere le Boscarecce».
Gentile rappresenta forse uno degli ultimi epigoni di una produzione poetico-narrativa che ha caratterizzato l’umile quotidianità della gente abruzzese nei secoli passati, di una categoria di persone prevalentemente autodidatte, artefici della propria alfabetizzazione e vorace di letture che circolavano usualmente tra i contadini, i pastori e gli artigiani (su tutti la Divina Commedia e la Gerusalemme liberata).
E in questo ambito il territorio dell’Alto Sangro, non faceva eccezione, poiché aveva già espresso esempi di produzioni in dialetto e in lingua, sui quali si erge la celebre figura di Benedetto Virgilio, poeta-bifolco di Villetta Barrea, che ricevette apprezzamento da principi e pontefici.
I temi trattati da Gentile nei suoi versi sono vari, ma tutti strettamente legati alla cultura pastorale: l’ideologia di contrapposizione rispetto alla civiltà agricola; il particolare rapporto con il bestiame allevato; l’aneddotica sulle “battaglie” contro lupi e orsi, principali nemici del gregge; gli episodi connessi alla faticosa, pericolosa, ma anche avventurosa vita pastorale transumante tra le montagne d’Abruzzo e le pianure pugliesi; gli incidenti dovuti alle condizioni meteorologiche avverse nel periodo invernale (bufere e freddi); le storie e le leggende del brigantaggio; i racconti di miti e di tradizioni legati alla montagna.
Cesidio Gentile morì il 26 ottobre 1914 a Civitanova del Sannio mentre, per l’ennesima volta, percorreva il duro percorso del tratturo, a causa di una caduta da cavallo: una tragica uscita di scena, in un certo senso già prefigurata nei suoi versi:
Abbi pietà, buon Dio,
d’un misero pastore,
che visse nel dolore
e nel dolor morrà.
Nel biennio 2014-2015, grazie all’impegno di Francesco Gentile, Gianluca Tarquinio e al supporto e patrocinio del Comune di Pescasseroli, è stato organizzato un ciclo di conferenze per la ricorrenza dei cento anni dalla sua morte; i saggi sono confluiti nel volume La vita e le opere di Cesidio Gentile detto “Jurico”, poeta-pastore di Pescasseroli (1847-1914), pubblicato a cura di Gianluca Tarquinio (Edizioni Kirke, 2015).