Piazza dell’Orologio sorge dove il disastro sismico incise con crudeltà assoluta il 13 gennaio del 1915, spazzando via la parte sommitale del centro storico di Collarmele. Dove oggi si spalanca agli occhi del visitatore un moderno anfiteatro al cospetto della torre normanna, integra nonostante i sismi avvicendatisi, un tempo dominava la sagoma della chiesa trecentesca di Santa Felicita con il suo imponente campanile e gli attigui palazzi antichi, alti più di tre piani, circondati dagli stretti vicoli del paese che fu.
È un luogo simbolo della fine di un mondo, e per questo ideale a fregiarsi di una nuova accezione e di un nuovo senso. La forma dell’anfiteatro si presta al dialogo delle delegazioni provenienti da diversi paesi, alla nascita di uno spontaneo parlamento dei centri storici dell’Abruzzo interno per indagare ed evidenziare svolte e ostacoli nei percorsi di sviluppo territoriale.
Collarmele si fa carico di questa scommessa partecipativa a larga scala, che permetta a Piazza dell’Orologio di intraprendere un percorso di rinascita finanche iconica, volto a costruire attraverso l’immagine armonica delle proprie gradinate il simbolo di uno spazio che contenga i paesi, una piazza dei paesi e per i paesi. È un’ambizione che corre di pari passo a quella rivolta all’identità del luogo, mossa dal recupero graduale del patrimonio storico culturale fino ad oggi marginalizzato nella parte antica dell’abitato, unico a figurare nel contesto territoriale marsicano per quanto concerne i comuni del cratere sismico aquilano del 2009. È dunque un periodo di ricostruzione materiale e immateriale del paese, che unisce all’opera di valorizzazione territoriale un tentativo di ricomposizione più ampio attraverso il Festival dei giovani dell’Appennino, manifestazione non limitante il proprio raggio d’azione ai soli paesi montani dell’Abruzzo interno, estendendo l’attenzione all’intero arco appenninico, aspetto su cui già si sta lavorando per le future edizioni.
Solitamente nei paesi la parte antica è sita in alto, raggiungibile attraverso stradine tortuose tra le case abbandonate non senza fatica. A Collarmele, per accedere a quel che rimane dell’antico, occorre invece scendere il pendio del colle in direzione sud-orientale, ove antichi fabbricati si alternano – più o meno diroccati – finché le case si perdono nel paesaggio collinare digradante verso la piana del Fucino. Un tempo la via che conduceva alla piana prendeva il nome di Via del Lago, rievocando la veduta che dell’immensa superficie d’acqua ebbero per secoli gli abitanti del paese. Di quel tessuto urbano si è creduto non restasse alcun che da salvare, nulla di rilevante al di là di antiche case dirute che col tempo hanno perso il nesso con la dimensione abitativa antica, adagiandosi alle nuove destinazioni d’uso. Ed ecco che gli abitati cinquecenteschi perdono la loro configurazione di bene storico, cedendo il passo alla più recente accezione di rimessa, stalla, magazzino, relegando progressivamente a non luogo il perimetro del centro storico e le sue verticalità. Nonostante l’opportunità del Piano di Ricostruzione post-2009 costituisse un canale fondamentale in prospettiva di riqualificazione del patrimonio storico-artistico, la scelta di ridurre la perimetrazione del centro storico ha manifestato un oggettivo disinteresse al riorientamento dello sviluppo territoriale attraverso l’attenzione ai beni storico-artistici, mancanza ravvisabile altresì in altri centri dell’Italia interna. La recente attenzione rivolta al censimento del patrimonio minore, con l’obiettivo di realizzare un tour del centro storico che unisca alla fruibilità dei punti cardine del patrimonio culturale (torre normanna e chiesa rinascimentale della Madonna delle Grazie) un’esplorazione degli elementi di pregio sopravvissuti nella parte antica, ove i lavori di riadeguamento strutturale post-sisma contribuiranno a rendere fruibili vicoli e strade ad oggi difficilmente praticabili a seguito del recente terremoto, è volta a ribaltare la sopracitata relegazione della parte antica a “non luogo”, onde ricomporre in definitiva la frattura identitaria e materiale generata dal devastante sisma del 1915.
Forse è questa rinnovata attenzione al potenziale della propria storicità nonostante la rovina che ha consentito al paese e a Piazza dell’Orologio di ergersi a luogo di rappresentazione del disagio collettivo patito dai paesi dimenticati, dando il via a una scommessa che permette a Collarmele un allargamento geografico improvviso della propria identità, concentrata su di sé e al contempo sulle connettività possibili tra le zone rurali dell’entroterra abruzzese e appenninico.
E, così, grazie alla dolcezza del luogo ospitante e nonostante le insidie umane, con la sola forza della giovane età ha avuto inizio la ricomposizione, fatta non solo di mere strumentalizzazioni, ma di calore umano. Cosicché, al pari dell'alba, durante la quale occhieggia una debole, misteriosa e pallida luce che si irradia ovunque, timida e silente, ma fiduciosa.
Le crepe naturali e umane sono state illuminate.
L'anfiteatro e i pertinenti luoghi sono stati colorati dalle emozioni, dalla forza, dall'energia, dal desiderio di rinascita delle singole delegazioni, le quali con costanza e dedizione, al di là di qualsiasi fazione od orientamento, con formicante e laborioso movimento hanno buttato le basi per la rinascita.
Il macabro eco dello spopolamento, dell'abbandono, della malinconia, che in bianco e nero dipingeva la Piazza, è stato sostituito da musica, balli, parole di coraggio, descrizioni e racconti di vita popolare, di unione, di denuncia, colmando ogni vuoto, ricomponendo ogni frattura, aromatizzando l'aria di speranza senza fine.